martedì 1 dicembre 2009

PARLA OBAMA....



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Il Nucleare è out, parola di Premio Nobel

«Inutile insistere su una tecnologia che crea solo problemi e ha bisogno di troppo tempo per dare risultati». È con queste semplici parole che il nobel Carlo Rubbia, intervistato da Repubblica, ha definito l’energia nucleare, dando cosi nuova voce a chi in Italia è contro il piano atomico dell’attuale esecutivo. Il fisico friulano parla di nuove strade da percorrere come quella del solare, «una fonte di energia che cresce al ritmo del 40% ogni anno nel mondo». Un mondo che esclude però l’Italia, ma che comprende Stati Uniti, Germania, Cile, Messico, Cina e Spagna. Infatti, racconta sempre lo scienziato, proprio lo stato iberico «si è dimostrato capace di avviare una grossa centrale solare nell’arco di 18 mesi» e possedendo inoltre in via di realizzazione altri impianti per 14mila megawatt. Tanti non si ricorderanno ma Carlo Rubbia fu presidente dell’Enea, società italiana per lo sviluppo ambientale ed energetico dal 1999 al luglio del 2005 quando venne sostituto “casualmente” dopo le sue critiche al governo Berlusconi in merito «all’umiliazione che la ricerca in Italia sta subendo». Ora il fisico è considerato uno dei padri di una nuova energia, il solare termodinamico che come lo stesso spiega è molto diversa dal comune solare:
«Il solare termodinamico è capace di accumulare l’energia raccolta durante le ore di sole. La soluzione di sali fusi utilizzata al posto della semplice acqua riesce infatti a raggiungere i 600 gradi e il calore viene rilasciato durante le ore di buio o di nuvole. In fondo, il successo dell’idroelettrico come unica vera fonte rinnovabile è dovuto al fatto che una diga ci permette di ammassare l’energia e regolarne il suo rilascio. Anche gli impianti solari termodinamici – a differenza di pale eoliche e pannelli fotovoltaici – sono in grado di risolvere il problema dell’accumulo».

Un passo avanti che cancella uno dei problemi principali di questa risorsa e che segna un gran bel punto a favore delle rinnovabili. Ritornando invece al nucleare Rubbia pone delle domande molto semplici, le stesse che un comune cittadino dovrebbe farsi: «Si sa dove costruire gli impianti? Come smaltire le scorie? Si è consapevoli del fatto che per realizzare una centrale occorrono almeno dieci anni? Ci si rende conto che quattro o otto centrali sono come una rondine in primavera e non risolvono il problema, perché la Francia per esempio va avanti con più di cinquanta impianti? E che gli stessi francesi stanno rivedendo i loro programmi sulla tecnologia delle centrali Epr, tanto che si preferisce ristrutturare i reattori vecchi piuttosto che costruirne di nuovi?»

Tutti quesiti che meriterebbero risposta ma che lo Stato Italiano sembra ignorare spinto non si sa bene da quali interessi. Un altro scienziato, il valdostano Gianni Silvestrini tra le sue tante ricerche ha calcolato, in base alle tendenze di questi ultimi anni, lo sviluppo che avranno nel mondo due rinnovabili come l’eolico e il solare a discapito dell’energia nucleare.

La tabella sembra molto eloquente e come ricorda Silvestrini è calcolata osservando «la produzione addizionale di elettricità solare ed eolica mondiale che unita al contributo alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti di queste tecnologie verdi, dovrebbe essere almeno 4 volte superiore rispetto al contributo del nucleare, considerando anche la chiusure delle vecchie centrali». Come per la questione acqua pubblica ora non si comprende bene quale sia il vero motivo di certe scelte e a chi giovino maggiormente. Il Governo parla di un nucleare sicuro e «che ridurrebbe le spese elettrice del cittadino», affermazione contestata da chi come Greenpeace definisce questo slogan solo una menzogna basata su calcoli in cui oltre ai costi per la realizzazione degli impianti non si terrebbero conto degli accantonamenti per lo smantellamento dei reattori, della copertura assicurativa in caso di incidenti gravi, dei costi per il riprocessamento delle scorie, per la bonifica dei siti contaminati e per la realizzazione del futuro deposito geologico di stoccaggio. Tutte cose che secondo l’associazione ambientalista farebbero aumentare non di poco la bolletta invece che diminuirla. Segnalo la curiosa iniziativa “Io la bolletta nucleare non la voglio” per maggiori informazioni in merito.

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VERSO COPENAGHEN
Bozza, entro il 2050
emissioni giù del 50%
Il testo preparato dal governo danese per la conferenza che si terrà dal 7 al 18 dicembre. L'80% del taglioa carico dei Paesi ricchi. Nessun impegno concreto per il 2020. E l'India detta le sue condizioni
di ANTONIO CIANCIULLO

Emissioni serra globali dimezzate rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050, con l'80 per cento del taglio a carico dei paesi industrializzati. E' questo il passaggio centrale dal punto di vista dei numeri della bozza di accordo preparata dalla presidenza danese per la conferenza delle Nazioni Unite a Copenaghen. Ed è molto probabile che questi numeri verranno confermati dal summit Onu che si aprirà il 7 dicembre per due ottime ragioni. La prima è che l'abbattimento delle emissioni di anidride carbonica è chiesto con insistenza dalla comunità scientifica: i climatologi in maniera sempre più pressante invocano la fuoriuscita dall'era del petrolio che ha avvelenato l'atmosfera. La seconda è che il 2050 è sufficientemente lontano da non far paura a nessuno: se il traguardo verrà mancato sarà difficile chiedere conto del fallimento a chi lo ha deciso oggi.

Cruciale è invece la definizione dell'obiettivo al 2020. Decidere il profilo energetico del mondo tra dieci anni vuol dire lanciare un messaggio forte e immediato al mondo della produzione: non solo a chi fornisce elettricità, ma a chi costruisce case, a chi organizza i trasporti, a chi tratta i rifiuti, a chi coltiva. Per ottenere un taglio al 2020 bisogna partire subito. E' questo il nodo da sciogliere.

Infatti la bozza su questo punto contiene un'ambiguità su cui si giocherà la partita di Copenaghen. Da una parte indica il 2020 come l'anno in cui le emissioni serra dovranno raggiungere il picco per poi declinare, cioè l'anno in cui le misure del buon governo energetico dovranno aver già dato i loro frutti. Dall'altra non c'è un numero che contenga un impegno cogente da raggiungere entro il 2020. Sarà possibile arrivare a una svolta energetica radicale in 10 anni in via del tutto spontanea, senza firmare impegni? Per di più mentre la gran parte dei finanziamenti pubblici continua a incoraggiare lo sfruttamento dei combustibili fossili invece che lo sviluppo delle fonti rinnovabili?

E' evidente che le probabilità di un riassetto virtuoso in queste condizioni sono minime. Per evitare il collasso del clima che conosciamo occorre applicare il semplice principio del chi inquina paga, cioè cominciare a rendere onerose le emissioni serra. Il principio è largamente condiviso. I tempi e i modi no.

Determinante sarà perciò il successo della proposta avanzata dal primo ministro danese: raggiungere un'intesa per tagli obbligatori per ogni Paese al 2020 da rendere legalmente vincolante nella conferenza Onu sul clima che si terrà a fine 2010. In questo modo si darebbero 12 mesi di tempo ai Paesi che hanno bisogno di varare leggi nazionali per il raggiungimento dell'obiettivo (ad esempio gli Stati Uniti) ma si lancerebbe lo stesso un segnale chiaro alle industrie.

Le prime reazioni non sono incoraggianti. "Se la bozza danese contiene indicazioni temporali, allora arriviamo ad un fallimento. La bozza, che non si basa su stime realistiche, è totalmente inaccettabile da noi", ha detto il ministro indiano Ramesh. "Le economie emergenti come Cina, Sud Africa e Brasile, hanno preparato una loro bozza molto più vicina alle nostre posizioni: la nostra posizione non negoziabile". Il nodo è quindi tutto giocato sul 2020".

© Riproduzione riservata (30 novembre 2009) Tutti gli articoli di Scienze e Ambiente